Hermes, Underwood, Remington, Erika, Triumph, Olivetti, Olympia e Oliver sono nomi che ci proiettano in uno spazio fatto di dita che battono su tasti e di fogli che avvolgono rulli.
Le macchine per scrivere hanno di fatto sostituito la manualità dello scrivere e, per la loro rilevanza sociale, sono state capaci di andare oltre all’essere un semplice strumento di comunicazione. Un’entrata in società che viene da lontano, con una genealogia complessa esposta in questo numero di Passim da Simona Casonato, curatrice presso il Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano. Una diffusione di massa che, come evidenzia Isabelle Krzywkowski in queste pagine, porta a non sottovalutare l’impatto che ebbe la macchina sul processo di scrittura. A questo si aggiunge l’effetto sull’immaginario collettivo: tra sfumature soggettive e valori allusivi, la macchina per scrivere veniva regolarmente associata alle donne, una connotazione femminile spiegata da Philipp Schönthaler.
Nel tempo, la macchina per scrivere divenne un simbolo della scrittura. La persona e la macchina lavoravano insieme negli uffici amministrativi e nei laboratori letterari; principalmente per mettere in bella copia un abbozzo, una dettatura o un manoscritto. Una sinergia che si riscontra pure nei fondi d’archivio, dove alcune macchine vantano pure un legame emotivo con i loro possessori, tanto da venir citate in lettere, romanzi e poesie. E, ogni qual volta viene nominata, la macchina per scrivere – con gli ingranaggi dell’industria orologiera e i martelletti del pianoforte – aziona il suo carattere e il suo suono.
Passim 30 | 2022 (PDF, 1 MB, 05.09.2022)Bulletin des Schweizerischen Literaturarchivs | Bulletin des Archives littéraires suisses | Bollettino dell’Archivio svizzero di letteratura | Bulletin da l’Archiv svizzer da litteratura
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Ultima modifica 05.09.2022
