Istituti di correzione e nuove case appenzellesi

Nel 1946, a Trogen, nel cuore dell’Appenzello, nasce il Villaggio dei bambini Pestalozzi, esempio emblematico di una tipologia edilizia che, pur avendo una storia secolare, raramente trova spazio nel canone ufficiale del patrimonio costruito. In occasione del 50° anniversario dell’Anno europeo del patrimonio architettonico si apre una finestra sull’ambiente costruito di minoranze, gruppi marginali e persone senza una lobby .

Di Kathrin Gurtner

Il Villaggio dei bambini Pestalozzi con le sue tipiche case appenzellesi e, in primo piano, una bandiera svizzera.
Il Villaggio dei bambini Pestalozzi a Trogen, 1947 (foto: Photoglob AG)

Nel 1972 il Consiglio d’Europa lancia la campagna «Anno europeo del patrimonio architettonico 1975» all’insegna del motto «Un futuro per il nostro passato». Vengono così gettate le basi di un impegno volto a facilitare la tutela del patrimonio costruito e a sensibilizzare l’opinione pubblica sui molteplici valori che gli edifici e gli insediamenti storici conservano nel tempo.

Cinquant’anni più tardi, in una società sempre più diversificata, la domanda si ripropone in termini nuovi: «Un futuro per il passato di chi?». La risposta è nel motto volutamente diverso da quello del 1975: «Il patrimonio delle minoranze, dei gruppi marginali e delle persone senza lobby». Questa scelta punta a mettere in primo piano testimonianze architettoniche che finora hanno avuto scarso rilievo nella cultura della memoria ufficiale.

La responsabilità collettiva per la tutela del patrimonio delle minoranze è sancita dai Principi per la tutela dei monumenti storici in Svizzera del 2007. Eppure, dagli inventari svizzeri esistenti, non si direbbe. Lo confermano anche le nostre ricerche nell’Archivio federale dei monumenti storici: grandi chiese, imponenti palazzi governativi e siti archeologici sono ampiamente documentati, mentre si trovano a malapena riferimenti a orfanotrofi o ad altri edifici destinati a persone «senza una lobby». Eppure, gli orfanotrofi e gli altri istituti infantili hanno rappresentato per secoli una componente fondamentale del sistema di assistenza sociale e, con le loro specifiche caratteristiche architettoniche, hanno lasciato un’impronta profonda sull’esperienza di coloro che vi hanno vissuto.

Gli istituti infantili come specchio delle convinzioni della società

Acquaforte raffigurante l’orfanatrofio di Zurigo, entrato in servizio nel 1771, con il fiume Limmat in primo piano e il convento di Oetenbach.
Zurigo, l’orfanatrofio appena costruito sulla riva della Limmat, visto da est, con il convento di Oetenbach (acquaforte anonima, dopo il 1771).

I primi istituti infantili od orfanatrofi, sorti tra il Seicento e il Settecento, erano grandi edifici rappresentativi che spesso si trovavano in una posizione centrale nella città o nel paese che li ospitava. Edifici accomunati da uno stile che ricorda i castelli barocchi si trovano ad esempio a Berna, Zurigo e San Gallo. Servivano per la «custodia» degli orfani, ma anche dei poveri e dei delinquenti. Nella progettazione si prestava scarsa attenzione ai bisogni e alle proporzioni dei bambini, e si puntava soprattutto a mettere in evidenza la forza e il potere delle autorità.

Veduta dell’istituto per bambini poveri di Freienstein, ospitato in un edificio rurale. Sullo sfondo, in cima a una collina, si stagliano le rovine di un castello. In primo piano alcune persone(acquaforte a contorno, 1845 circa).
Veduta dell’istituto per bambini poveri di Freienstein presso Rorbas, pubblicata a beneficio dello stesso (acquaforte a contorno di Heinrich Zollinger, 1845 circa).

Nel corso dell’Ottocento si assiste a un vero e proprio boom nella fondazione di istituti, perlopiù motivati da finalità caritative o religiose. La sede privilegiata si sposta dal contesto urbano verso le aree rurali. Oltre a orfanotrofi e ospizi per i poveri, nascono i cosiddetti istituti di «correzione», il cui obiettivo è «rieducare» i bambini «di strada». Questi istituti si insediavano di preferenza in edifici esistenti, come fattorie o monasteri, adattandoli alle proprie esigenze. A volte, però, avevano sede in edifici di nuova costruzione la cui architettura rifletteva un approccio pedagogico improntato alla disciplina e all’ordine.

Da istituto ad ambiente di vita

Veduta esterna dell’orfanatrofio Belmunt di St. Moritz con bambini che giocano nel parco antistante (foto fratelli Wehrli, 1912).
L’orfanatrofio di St. Moritz, costruito in Heimatstil grigionese, con parco giochi (foto fratelli Wehrli, 1912).

All’inizio del Novecento, con il movimento dell’Educazione nuova, iniziano a manifestarsi i primi cambiamenti verso un’architettura più a misura di bambino. Pur mantenendo dimensioni imponenti, gli edifici appaiono più accoglienti. Reparti di dimensioni contenute permettono di differenziare in certa misura la gestione dei bambini, che vengono alloggiati separatamente in base all’età e al sesso. Spesso gli istituti sono associati ad aziende agricole, dove i bambini sono sottoposti a lavori pesanti.

Già a partire dagli anni Venti del secolo scorso non mancano le critiche alle condizioni di vita ostili all’interno di molti istituti infantili. Ma è solo dopo la Seconda guerra mondiale che prende piede un nuovo ideale: l’istituto non è più pensato come semplice luogo di custodia, bensì come una vera e propria «casa», in cui i bambini possano sentirsi come in famiglia. Al posto di grandi edifici anonimi cominciano a sorgere strutture più piccole e accoglienti. Nella distribuzione degli spazi interni si presta attenzione alla luce, ai colori e al benessere, mentre all’esterno si creano aree di gioco.

Il Villaggio dei bambini Pestalozzi

Trogen e il Villaggio dei bambini Pestalozzi, veduta aerea (foto: Hugo Kopp, 1950 circa).
Trogen e il Villaggio dei bambini Pestalozzi, veduta aerea (foto: Hugo Kopp, 1950 circa).

Un esempio emblematico di architettura a misura di bambino è il Villaggio dei bambini Pestalozzi di Trogen, fondato nel 1946 per accogliere bambini traumatizzati dalla guerra provenienti da tutta Europa. L’architetto Hans Fischli (1909–1989), che in precedenza si era fatto un nome progettando edifici cubisti in stile Bauhaus, decide questa volta di ispirarsi all’architettura rurale della regione. Le case si inseriscono armoniosamente nel paesaggio creando un’atmosfera di rassicurante normalità.

I bambini vivono nelle case insieme agli educatori e alle educatrici del loro stesso Paese, in strutture simili a quelle familiari. Le abitazioni sono integrate nel paesaggio dell’Appenzello come componenti di un insieme armonico, non come corpi estranei. Una sensazione che l’architetto desidera trasmettere anche ai bambini, creando per loro una casa accogliente e protetta. Fischli progetta gli edifici affinché siano a misura di bambino fino nei minimi dettagli: tutto, dalla ripartizione degli spazi all’arredamento, è proporzionato alle loro fattezze. Le case non devono in alcun modo ricordare un istituto educativo o una struttura di custodia, ma essere percepite come normali ambienti abitativi.Al termine dei lavori, Fleischli affermerà soddisfatto: «Adoro le mie nuove case appenzellesi». Ancora oggi il suo entusiasmo per il Villaggio dei bambini è ampiamente condiviso. Sotto il profilo architettonico, pedagogico e sociale, questo progetto è un punto di riferimento per la promozione del vivere comune.

Dal 1972 è soprattutto l’International Council on Monuments and Sites (ICOMOS) a portare avanti la campagna «Anno europeo del patrimonio architettonico 1975». Il responsabile dei contenuti è lo svizzero Alfred A. Schmid (1920–2004), professore di storia dell’arte all’Università di Friburgo e a lungo presidente della Commissione federale dei monumenti storici (CFMS) nonché membro del comitato esecutivo dell’ICOMOS.

Il suo vasto archivio, assieme a quello relativo all’Anno europeo del patrimonio architettonico, è conservato alla Biblioteca nazionale svizzera.

Bibliografia e fonti

Ultima modifica 29.07.2025

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