Parole da più direzioni

Nella scrittura di Anna Felder si uniscono diverse prospettive.

Di Daniele Cuffaro

In Tra dove piove e non piove (1972), il romanzo di esordio di Anna Felder, l’immigrazione italiana in Svizzera viene tratteggiata con empatia e sguardo ironico. La protagonista della vicenda è un’insegnante appena giunta a nord delle Alpi, la quale descrive le condizioni spaesanti e le discrepanze culturali che deve fronteggiare chi arriva dall’Italia. Le difficoltà d’ambientamento in Svizzera prendono forma con leggerezza e incisività in un gioco di rifrazione dei personaggi e di voci dell’autrice. Un equilibrio che poggia su più livelli ad immagine della fase di composizione, dove l’autrice ha lavorato su più strati di carta. 

Parole da più direzioni
Nella cartella d’insegnante di Anna Felder c’era anche l’involucro di un rossetto con un piccolo specchio.
© Foto: Simon Schmid, BN

La prima versione di Tra dove piove e non piove si distingue infatti per le modifiche apportate tramite inserimenti cartacei incollati sui manoscritti. Non un lavoro di collage ma di rielaborazione letteraria. Col tempo però i nastri adesivi hanno allentato la loro presa e, qua e là, si notano delle scollature – pure, per destino, attorno a «la scollatura, sopra, che non le stava chiusa». Un certo destino che nell’opera di Anna Felder si trova anche nelle parole e nella loro sonorità. 

I racconti sono fluidi e uniscono i loro suoni per condurre il lettore allusivamente tra gli oggetti. Questi ultimi non parlano, ma sono capaci di farci sentire a casa e diventano protagonisti dei nostri discorsi. Gli oggetti sono appoggiati tra le pagine, recitano la loro parte, ci osservano e rispecchiano il nostro vissuto. L’autrice li usa in maniera quasi silenziosa per riportare le sue impressioni. «Allora sapevo che ogni istante della giornata, io l’avrei portato con me fino a sera; sapevo che guardando qualunque cosa, tre gatti sulla panca o l’uniforme blu di una ragazza della Heilsarmee, io mi dicevo: ‹questo lo racconto agli altri›».

Per Anna Felder scrivere significa prendersi il tempo per elaborare, correggere, mettere in ordine e aggiungere ornamenti alle parole. Un lavoro di riscrittura e di rilettura, dove la prima lettrice ideale di Anna Felder è sempre lei stessa, ma da un’altra sedia. Un distacco e una modalità di composizione che è riflesso e riflessione della scrittura, un raddoppiamento di voce, una chiave di lettura. 

In questa maniera gli occhi dei personaggi buttati addosso alla protagonista quando «mi guardano le gambe e il rossetto» hanno più gradi di percezione, a dipendenza che ci si immedesimi da una parte o dall’altra della scena. Come il rossetto che cattura gli occhi e dà colore alle parole, così «una Susi tutta truccata» o una fruttivendola che «si fa bella ed ambiziosa» mostrano una componente comune a due spiriti diversi.

Nella scrittura di Anna Felder ritroviamo un alto grado di complicità tra chi scrive e chi legge come pure tra la voce narrante e i personaggi, «perché gli uomini sono libri che parlano». A volte si sentono appena, come le parole che in un ristorante affollato galleggiano e scompaiono, fragili, simili alla schiuma di birra che vela le labbra ad ogni sorso.

Anna Felder, nata nel 1937 a Lugano, vive ad Aarau. È autrice di romanzi e racconti tradotti in più lingue. Ha ottenuto due premi Schiller, l’Aargauer Literaturpreis e, per l’intera sua opera, le è stato assegnato il Gran premio svizzero di letteratura nel 2018.

Ultima modifica 18.03.2021

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